20060513 - 13 Maggio
Discorso Divino di Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba
“Tutti i nomi e le forme non sono che manifestazioni dell’Essere Supremo,
che è Essenza-Coscienza-Beatitudine assolute e non duali.
Egli è la manifestazione di Satyam, Shivam, Sundaram (Verità, Bontà, Bellezza).”
Incarnazioni dell'Amore!
In questo sacro giorno di Buddha Pûrnimâ, parleremo di Buddha e di Pûrnimâ (luna piena). Raramente si indaga negli Insegnamenti di Buddha, nelle Sue virtù e nel modo esemplare in cui visse.
Il re Shuddhodana e sua moglie Mâyâdevî compirono per anni molte austerità spirituali, come japa (recitazione del Nome del Signore), tapas (penitenze), vrata (restrizioni) e yajña (rituali), aspirando ad avere un figlio. Consultarono anche numerosi astrologi.
Shuddhodana non trovava pace, ossessionato com'era, giorno e notte, dalla preoccupazione di non avere un erede al trono. Alla fine le loro preghiere trovarono risposta allorché Mâyâdevî dette alla luce, a Lumbini, un maschietto. Purtroppo, ella morì subito dopo aver partorito il bambino, che fu chiamato Siddhârtha. Toccò a Gautamî, la seconda moglie di Shuddodhana, allevarlo, cosa che ella fece prendendosene amorevolmente cura come se fosse stato suo figlio. Ecco perché Egli fu anche chiamato Gautama. Gli astrologi predissero che Siddhârtha non avrebbe regnato, avrebbe lasciato il regno e sarebbe diventato un rinunciante. La predizione degli astrologi continuava a risuonare nelle orecchie di Shuddhodana e gli causava ansia quando osservava il figlio crescere. Il re prese ogni precauzione per evitare che il ragazzo uscisse dal palazzo e si unisse ad altre persone col rischio di esserne influenzato. Così, per venti lunghi anni, protesse il figlio dall'influenza altrui.
L’anelito di Siddhârtha per la Verità ultima
Un giorno, i genitori di una ragazza andarono da Shuddhodana e gli espressero il desiderio di dare la loro figlia in sposa a suo figlio Siddhârtha. Il nome della ragazza era Yashodhara. Shuddhodana accettò la proposta e fece celebrare le nozze di Siddhârtha e Yashodara. A causa delle loro amorevoli insistenze, il giovane principe continuò a vivere a palazzo con i genitori anche dopo il matrimonio. Un anno dopo le nozze, Egli ebbe un figlio a cui fu imposto il nome di Râhul. Gli sposi passavano lietamente il loro tempo col bambino, ma, nonostante tutti gli agi di palazzo e una felice vita matrimoniale, la mente di Gautama sprofondò nell'inquietudine allorché, un giorno, Egli uscì da quelle mura e Gli capitò di vedere una persona acciaccata per l'età avanzata, un'altra colpita da una malattia e un'altra morta.
Una notte, la Sua mente subì un'improvvisa trasformazione. Mentre la moglie era profondamente addormentata, Egli, a mezzanotte, si alzò, accarezzò il figlioletto e partì per la foresta, ove dovette sottostare a numerose sofferenze e difficoltà. Affrontò tuttavia le prove con pazienza e fermezza. I Suoi genitori, frattanto, erano sprofondati nel dolore, incapaci di tollerare l'angoscia per la separazione dal Figlio. Sebbene anche Siddhârtha stesse intensamente soffrendo, proseguì il Suo cammino per ottenere la realizzazione spirituale.
Durante il Suo percorso, Egli, un giorno, incontrò un sant'uomo, il quale Gli disse che la causa della Sua angoscia era, di fatto, dentro di Lui e tale angoscia gli ostruiva il cammino verso l'autorealizzazione. Ciò detto, gli fece dono di un talismano.
(A questo punto, Baba ha materializzato “quel” talismano e lo ha mostrato ai presenti tra scroscianti applausi - N.d.T.).
Questo è il talismano che il saggio dette a Siddhârtha. Quando Egli lo mise al collo, ogni sua angoscia svanì istantaneamente, per cui lo indossò fino all'ultimo istante della Sua vita terrena; al momento dell'abbandono della spoglia mortale, il talismano sparì.
Siddhârtha si sottopose a lungo a intense penitenze e prese a domandarsi: “Chi sono io? Sono il corpo? Sono la mente? Sono buddhi (l'intelletto)? Sono citta (la sostanza mentale)?” giungendo alla conclusione di non essere nulla di tutto ciò. Alla fine, sperimentò la verità “Io sono Io”.
Riconoscere l’unità di tutto il creato
Dichiarano i Veda: “Aham Brahmâsmi” (Io sono il Brahma) e “Tat Tvam Asi” (Tu sei Quello). Anche questi due assiomi vedici affermano due cose: Io e il Brahman, Quello e Tu. La vera saggezza consiste nel percepire l'Unità.
Advaita darshanam jñânam
Vera Saggezza è sperimentare il Non dualismo.
Vedere la dualità, ignorando l'Unità sottostante, è segno di ignoranza. La dualità non è la Verità. Fu questo il modo in cui Buddha indagò profondamente e, alla fine, ebbe l'esperienza dell'“Io sono Io”; questa è autentica realizzazione. Si possono compiere penitenze per molti anni, fare meditazione e attuare svariate pratiche yogiche, ma tutte queste discipline spirituali saranno solo una soddisfazione temporanea, non già la Beatitudine eterna. Alcuni parlano della meditazione e anche Buddha ne propugnò la pratica. Su che cosa occorre meditare? Che cosa si intende per meditazione? Significa concentrarsi su di un particolare oggetto? No, no. Questa non è affatto meditazione; vera meditazione è riflettere profondamente sul Principio “Io sono Io”. Non c'è sâdhanâ (pratica spirituale) che possa eguagliare questa. Fintantoché si ha il sentimento dualistico di “tu e io”, non è possibile sperimentare l'Unità. Buddha lo riconobbe e basò la Sua vita su tale Verità. Guidato da diversi yogî, compì vari tipi di meditazione e di penitenze, ma, alla fine, si accorse che erano una mera perdita di tempo giacché nessuna di esse era riuscita a condurLo all'esperienza ultima dell'Unità e si pentì di avere sprecato il tempo in quel modo. Si dovrebbe trovare compimento nella vita facendo uso appropriato del tempo: questo, per l'uomo, è il dovere primario.
Incarnazioni dell'Amore!
Molte persone compiono diversi tipi di pratiche, come japa (ripetizione del Nome di Dio) e dhyâna (meditazione), senza ravvisare il Principio di Unità. La lingua pronuncia il Nome di Râma, ma c'è vuoto nel cuore; questa è solo una perdita di tempo. Invece di sprecare il vostro tempo in questo modo, fate servizio sociale, vedendo Dio in tutti; questa è vera disciplina spirituale. Riconoscete l'intima divinità di tutti gli esseri. Nella creazione, sembrano esservi due entità, tu e io, ma esse sono in realtà una cosa sola. Vyashti (l'individuo) è una parte di samashti (la società) ed essa è una parte di srishti (la creazione) che nasce da Parameshti (Dio). Quest'ultima è Parabrahma Tattva (il Principio di Brahman). Questo è il fondamento primario dell'intera creazione di cui dovete pertanto riconoscere l'unità: solo allora raggiungerete Parameshti, ovvero il Principio del Brahman. Ognuno deve ripetutamente ricordare a se stesso: “Io sono Parameshti, io sono Parameshti.” Tutti sono incarnazioni dell' Âtma che sostiene tutti. Buddha sperimentò l'unità di tutta la creazione e in Lui, una volta ottenuta la visione di Ekâtma (l'unità dell' Âtma), ci fu completa trasformazione. Egli comprese che tutte le relazioni mondane, come madre, padre, moglie e figli, sono false, e trascese la coscienza corporea: questa è la ragione per cui ottenne l'appellativo di Buddha (l'Illuminato). L'uomo dovrebbe usare buddhi (l'intelligenza) per comprendere il Principio di Unità. La buddhi è di due tipi; quella che vede la diversità nell'unità è intelligenza mondana, mentre l'uomo dovrebbe sviluppare Buddhi Adhyatmica (Intelligenza Spirituale) al fine di realizzare l'unità sottostante a tutta la creazione. Ciò dà l'esperienza del Principio Atmico che, in essa tutta, è il medesimo. Buddha ebbe la visione dell' Âtma e, dopo tale esperienza, cominciò a insegnare che nel mondo esiste un unico Principio Divino.
Buddham sharanam gacchâmi sangam sharanam
gacchâmi dharmam sharanam gacchâmi
Prendo rifugio nel Buddha, prendo rifugio nella società,
prendo rifugio nel Dharma.
Buddha insegnò che il Principio di Unità dell' Âtma è l'unico principio al mondo e affermò che colui che lo realizza usando l'Intelligenza Spirituale è un vero Buddha. Al mondo non esiste nient'altro che l' Âtma. In questo mondo transitorio ed effimero, c'è una cosa vera ed eterna: si tratta della Divinità, ciò che ognuno dovrebbe aspirare a ottenere.
Satyam sharanam gacchâmi
Prendo rifugio nella Verità.
Ekam sharanam gacchâmi
Prendo rifugio nel principio di Unità
A questo mondo, tutto è manifestazione della Divinità: non c'è una seconda entità oltre a Essa. È il Principio Divino a governare il mondo intero. Avendo realizzato tale Verità, Buddha andò assieme ai Suoi discepoli di villaggio in villaggio per diffonderla e non sentì mai il bisogno di riposarsi. Egli pensava fosse Suo dovere dividere con i Suoi simili questa Conoscenza suprema. Persino Suo padre Shuddodhana si recò da Lui, riconobbe tale Verità e ne subì una trasformazione. Che cosa insegnò Buddha? Insegnò che ognuno è dotato dello stesso Principio Divino.
Ekam sat viprâ bahudhâ vadanti
La Verità è una, sebbene i saggi la descrivano in molti modi.
Krishna, nella Bhagavad Gîtâ, trasmette lo stesso messaggio quando afferma che tutti gli esseri sono Suoi riflessi e che nessuno è differente da Lui. Buddha dovette affrontare numerose avversità per realizzare tale Verità. Molte nobili anime, che erano Sue contemporanee, Ne riconobbero la grandezza affermando che Egli aveva sperimentato la Verità, cosa che a loro non era riuscita. Non appena abbandonò ogni desiderio, Buddha divenne epitome di rinuncia totale. In Lui, non c'era altro che Amore, che Egli considerava come il Suo stesso respiro vitale. In mancanza d'Amore, il mondo si trasformerebbe in un nulla assoluto.
Comprendere la profondità degli Insegnamenti di Buddha
Quando offrite il vostro rispettoso saluto a qualcuno, dovete comprendere che state salutando il vostro stesso Sé e che l'altra persona altro non è che il vostro riflesso. Cercate di vedere gli altri proprio come vedete il vostro riflesso allo specchio. Questo è il messaggio trasmesso dal mahâvâkya (grande aforisma) “Aham Brahmâsmi” (Io sono Brahman). Nomi e forme possono variare, ma tutti gli esseri sono parte integrante dello stesso Principio Divino. Potete chiamare questo “fazzoletto” e potete chiamare questa “veste”, ma entrambi sono fatti di cotone; allo stesso modo, la Divinità è il Principio sottostante all'apparente molteplicità.
Oggigiorno, molti dei cosiddetti “eruditi” predicano unicamente la molteplicità; sostenendo di avere perfetta padronanza delle Scritture, cercano di interpretarle a modo loro servendosi della propria limitata conoscenza, ma le loro interpretazioni non corrispondono alla realtà, fanno solo aumentare la confusione.
Buddha insegnò che non dovremmo alimentare l'ira, andare a caccia dei difetti altrui e danneggiare gli altri, giacché tutti sono incarnazioni del puro ed eterno Principio dell' Âtma. Nutrite compassione verso i poveri e aiutateli per quanto vi è possibile. Voi ritenete poveri coloro che non hanno da mangiare, ma non potete considerare “povero” qualcuno solo perché non possiede denaro o cibo. A dire il vero, nessuno è povero; tutti sono ricchi, non poveri. Coloro che voi ritenete poveri possono non aver denaro, ma tutti possiedono la ricchezza di Hridaya (il Cuore). Comprendete e rispettate questo sottostante Principio di Unità e Divinità in tutti e sperimentate la Beatitudine. Non date spazio a considerazioni piccine del tipo “il tal dei tali è mio amico”, “il tal altro è mio nemico”, oppure “quello è mio parente” ecc.
Tutti sono Uno: sii equanime con tutti.
Questo è il vostro principale dovere ed è l'Insegnamento più importante del Buddha. La gente, tuttavia, non valuta i Suoi Insegnamenti né comprende la sacralità del Suo cuore: parla solo della Sua storia. Parlando fuor di metafora, non un solo individuo è “Buddha”: tutti voi siete dei Buddha. Una volta compresa tale Verità, vedrete ovunque l'Unità; nell'apparente molteplicità c'è Unità. Quando siete circondati da molti specchi vedete una quantità di vostri riflessi, che sono diversi, ma la persona è una sola. Le reazioni, i riflessi e le risonanze sono molteplici, ma la realtà è una. Quando Io parlo qui, la Mia Voce si ode in questa sala per mezzo di ognuno dei vari altoparlanti; allo stesso modo, nel vostro cuore esiste il Principio di Unità che dobbiamo riconoscere. La vita dell'uomo trova compimento solo quando la sua mente sperimenta il Principio di Unità; pretendere di creare unità fra le persone senza unire le loro menti non ha senso.
Mana eva manushyânâm kâranam bandha mokshayoh
È la mente a provocare la schiavitù e a concedere la Liberazione agli uomini.
Voi vedete una certa persona e dite che è cattiva, ne vedete un'altra e affermate che è buona. In realtà, però, il buono e il cattivo sono presenti nella vostra mente e non nelle persone attorno a voi. Voi dite che questo fazzoletto è bianco e questo microfono è nero; la differenza di colore viene percepita dai vostri occhi, ma, nella sostanza, bianco e nero sono una sola cosa, la medesima cosa. Tutti dovrebbero sforzarsi di visualizzare l'unità nella diversità: solo allora si potrà sperimentare la Divinità.
I Princìpi insegnati da Buddha hanno un profondo significato, ma la gente non si sforza di comprenderli. Avrete probabilmente notato che Buddha aveva i capelli ricci e ogni ricciolo era intrecciato con l'altro; in questo c'è un recondito messaggio di Unità.
Nel Suo cuore albergava un unico sentimento: il sentimento dell'Amore. Egli insegnò:
Preman sharanam gacchâmi
“Prendo rifugio nell’Amore”.
Se fosse privo d'Amore, l'essere umano non potrebbe esistere. Dovremmo amare tutti senza tener conto che uno sia povero o ricco. Il denaro non dovrebbe essere il criterio che vi fa condividere l'amore con i vostri simili; non è importante. Il denaro viene e va, la moralità arriva e cresce.
Non danneggiare gli altri. Aiuta sempre, non fare mai del male.
Solo così potrete ottenere lo stato di Buddha. Serve a poco tenere elaborate conferenze se poi non si realizza il Principio di unità nella diversità. Potete chiamare Dio con i Nomi più svariati, come Râma, Krishna, Buddha, Sai ecc., ma ognuno di Essi incarna lo stesso Principio Divino. Tenete il fiore dell'Unità sull'altare del vostro cuore e lasciate che la sua fragranza si diffonda ovunque. Se non prendete coscienza del Principio di Unità, le pratiche spirituali come japa e tapas non produrranno i risultati desiderati.
Molte persone snocciolano i grani del rosario, ma a che serve far scorrere quelle perline se anche la mente continua a “scorrere” in giro per il mondo? Cercate di comprendere la grande importanza della mente. Dovreste possedere una mente stabile: solo allora la vostra vita troverà redenzione. Che senso ha che la vostra mente vada a posarsi sui vari oggetti all'intorno come fanno le mosche che si fermano sulle immondizie come sui laddu (dolcetti indiani)? Non permettetele di vacillare fra buono e cattivo, unità e molteplicità; concentratela su ciò che è buono e realizzate il Principio di Unità. Questa è la via regale che vi conduce a sperimentare la Verità. Per contro, se permettete alla mente di seguire il sentiero tortuoso, essa non vi porterà da nessuna parte.
Incarnazioni dell'Amore!
Lo stesso divino Principio d'Amore è presente in tutti voi. Quando imboccherete il sentiero dell'Amore, diventerete Buddha voi stessi. Oggi è Buddha Pûrnimâ; Pûrnimâ significa “luna piena”. Il messaggio esoterico del Buddha Pûrnimâ è che la mente dovrebbe risplendere con pieno fulgore come la luna piena e dovrebbe riunirsi alla propria Sorgente, l' Âtma, che è pura e splendente. Durante la notte di plenilunio non c'è oscurità; in questo fausto giorno di Buddha Pûrnimâ dovremmo ottenere totale purezza mentale.
Pûrnamadah pûrnamidam pûrnât pûrnamudacyate
pûrnasya pûrnamâdâya pûrnamevâvashishyate
Quello è pieno, questo è pieno; dal pieno nasce il pieno.
Quando il pieno viene preso dal pieno, rimane solo il pieno.
Dobbiamo riconoscere questa Verità.
Incarnazioni dell'Amore!
Mi dà grande gioia vedere che voi tutti siete oggi qui riuniti, siete uniti gli uni agli altri dal legame dell'Amore. L'Amore è solo uno, non è diverso in voi, in Me e negli altri. Avete unificato il vostro Amore con quello di Swami. L'Amore è uno. Vivete nell'Amore.
(Baba ha concluso il Discorso con il bhajan: “Prema Muditâ Manase Kaho…”)
Brindavan (Whitefield), 13 maggio 2006,
Sai Ramesh Krishan Hall,
Celebrazioni del Buddha Pûrnimâ
(Tratto e tradotto da SANÂTANA SÂRATHI, giugno 2006)