19960829 - 29 agosto
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
“La vita dell’essere umano è come un letto infestato di cimici. Il suo corpo è un ricettacolo di malattie.
In verità, egli non ha vera felicità nella vita.
Non dimenticate queste parole di saggezza.”
LA TOLLERANZA È UN ATTRIBUTO DIVINO
Gli esseri umani vivono in questo stato di sofferenza perché hanno dimenticato la loro reale natura, la loro vera forma e le loro origini. Incapaci di comprendere il valore della vita umana, che è come un diamante prezioso, gli uomini la barattano come fosse carbone. Nel suo discorso, il vicerettore ha sollevato l’interrogativo: “Qual è lo scopo della vita?” Il fine della vita è conoscere la propria forma e tornare al luogo d’origine.
Lo scopo della vita umana
Per tutti gli esseri viventi è naturale tornare alla fonte delle proprie origini e in nessun altro posto; questo è lo scopo e la meta della vita umana. Dimentico di questa verità, l’essere umano fatica duramente, dall’alba al tramonto, per acquisire ricchezza, provvedere alla moglie e ai figli, farsi un nome e una fama, e avere pace e felicità, ma ciò che deve fare è tornare alla sorgente e raggiungere lo scopo della vita. Il proposito primario della vita è risalire alle origini del proprio cammino. Se vi balza in mente la domanda su dove andare, chiedetevi da dove siete venuti; è là che dovete tornare. Deviare da questo cammino non è corretto. Cercate di sapere chi siete.
“Il mondo intero è pervaso da Dio.”
Dio è onnipervadente per natura; per questo è chiamato Brahma. Dovunque guardiate, vedete il principio di Brahman. Non c’è luogo in cui Egli non sia, non c’è oggetto che non sia la Sua Forma. Egli è presente in voi, in loro e in tutti, ma non tutti possono avere salda fede in questo principio di unità. Le Upanishad dichiarano: “L’Uno volle essere i molti.” C’è solamente l’Uno, questa è la realtà, e quell’Uno assume molte forme. Potete sperimentare la felicità se comprendete a fondo questa verità. Nella Bhagavad Gîtâ, il Signore Krishna dice: “Fate tutte le azioni come un’offerta a Me e rifugiatevi solo in Me. Offrite tutto a Me: Io avrò cura di voi.” Che cosa significa questo realmente? L’essere umano è impantanato in ogni sorta di preoccupazioni.
“Nascere è una preoccupazione, essere sulla terra è una preoccupazione, il mondo è causa di preoccupazione e la morte lo è altrettanto. Tutta l’infanzia è una preoccupazione e così la vecchiaia. La vita è una preoccupazione, la sconfitta è una preoccupazione, tutte le azioni e le difficoltà causano preoccupazione. Anche la felicità costituisce una misteriosa preoccupazione.”
Affidate i vostri problemi a Dio
La vita stessa è un bel carico di preoccupazioni. Come potete vivere avendo in testa questo carico enorme di preoccupazioni? Che cosa potete ottenere se siete invischiati in così tante preoccupazioni? Come potete seguire il retto sentiero nella vita? Comunque, queste preoccupazioni non sono permanenti; una se ne va lasciando il posto a un’altra subito dopo. Quindi, non date loro molta importanza. Qual è la forma della preoccupazione? È soltanto paura creata dalla mente. La mente è volubile per sua natura: come possono essere permanenti le preoccupazioni create da questa mente incostante? Ogni preoccupazione è come un naya paisa. Una rupia vale cento naya paisa e cento rupie valgono diecimila naya paisa. Un mucchio di diecimila naya paisa non è facile da trasportare per il suo peso, quindi il Signore dice: “Dammi quelle diecimila naya paisa e Io ti darò una banconota da cento rupie che è molto leggera, facile da trasportare e si può conservare al sicuro.” Mettere al sicuro un mucchio di diecimila naya paisa è piuttosto difficile e lo è ancora di più il trasportarlo e proteggerlo dagli altri. Pertanto, il Signore esorta l’essere umano: “Mio caro, affida a Me il mucchio delle tue preoccupazioni.” DateGli quindi questo gravame. Dio insegna questa verità in modo sottile. Voi potreste chiedere: “Se si lascia tutto al Signore, che cosa ne è dei nostri doveri?” L’essere umano ha i propri doveri, deve guadagnare denaro, provvedere alla moglie e ai figli ecc., ecc. Non occorre che trascuriate nessuna delle vostre incombenze; assolvetele. Come? Supponiamo che, in una commedia, stiate recitando il ruolo di un padre. Avete un figlio che ha una malattia e voi ne siete preoccupati, ma, in realtà, non siete suo padre, egli non è vostro figlio, né soffre di alcuna malattia e neppure voi piangete realmente per lui. Tutto questo non è che una recita. Anche quando nella commedia piangete, siete ben consapevoli che il vostro nome è quello che avete nella realtà e che studiate in una certa classe. Anche quando esprimete ansia per la malattia di vostro figlio, siete consapevoli del fatto che egli non è vostro figlio, ma un altro ragazzo. Sulla scena, dovete recitare correttamente, ma, anche mentre impersonate il vostro ruolo alla perfezione, non dimenticate il vostro effettivo nome. Per esempio: Nagaiah recita il ruolo di Thyagiah e canta: “O Râma! Dove devo cercarTi?” Lo fa proprio come Thyagiah, ma, in realtà, egli è consapevole di essere Nagaiah e non Thyagiah. Quando la commedia finisce ed egli scende dal palcoscenico, tutti si complimentano con lui dicendo: “Nagaiah, hai recitato benissimo il ruolo di Thyagiah.” È soltanto Nagaiah che canta e recita, ma, sulla scena, si comporta come Thyagiah. Allo stesso modo, ognuno recita un ruolo in questa commedia della vita; il nome effettivo è Âtma anche se, sulla scena, il suo nome e la sua forma sono diversi. Non dovete mai dimenticare questa verità. Se la ricordate sempre, potete recitare qualunque ruolo nella commedia della vita. Questo significa vivere in modo ideale e trarne beatitudine. Certuni recriminano: “Io ho offerto tutto a Dio, mi sono affidato completamente a Lui: perché allora mi fa subire tutte queste sofferenze?” Gli studenti devono comprendere questo molto chiaramente: come potete avere delle difficoltà se vi affidate totalmente? Come potete pensare che state soffrendo? Non avrete affatto pensieri simili, non considererete niente una difficoltà né ve ne preoccuperete. Se siete preoccupati, significa solamente che non vi siete affidati davvero a Dio. Chi si è affidato completamente al Signore non nutrirà alcuna preoccupazione. Dio è in voi, ma, se non avete fede in “Dio è in me”, sarete circondati dalle preoccupazioni.
Cercate di capire chi siete
Nomi e forme possono variare, ma Dio è uno. I cristiani, i mussulmani, gli zoroastriani, i buddisti e gli indù adorano tutti lo stesso Dio, ma Gli attribuiscono nomi e forme diversi e Lo adorano secondo le dottrine delle religioni che seguono. C’è un bramino che fa da mangiare in cucina. In base a ciò che sta facendo, noi lo chiamiamo “bramino cuoco”, ma la stessa persona è chiamata “bramino prete” quando, nel tempio, officia un rito. Quando legge il calendario, lo chiamiamo “bramino del calendario”; quando va in ufficio e assolve i suoi doveri ufficiali, vien detto “bramino amministratore”. Nomi diversi sono attribuiti alla stessa persona. In modo simile, sulla scena del mondo, ognuno riceve un nome a seconda del ruolo che svolge e dei meriti e demeriti acquisiti nelle vite precedenti. In verità, tutto questo è pura illusione; in questo non c’è nessuna verità di alcun tipo. L’influenza della mente è responsabile di tutta questa illusione. Se comprendete che tutto questo è semplicemente bhrama (illusione), avrete la visione di Brahma (Dio). Inoltre, se comprendete che voi siete Brahma, bhrama scomparirà immediatamente. In questo modo, se fate uno sforzo per capire chi siete, raggiungerete sicuramente la Verità. Tornare all’origine è naturale per tutti gli esseri viventi. L’acqua dell’oceano diventa vapore a causa del calore del sole; il vapore acqueo forma le nubi che, raggiungendo una regione fredda, si sciolgono in gocce e cadono sulla terra come pioggia. Le gocce si riuniscono e formano un ruscello, i ruscelli confluiscono e formano un fiume. Dove arriva il fiume alla fine? Torna all’oceano. Allo stesso modo, tutti gli esseri viventi devono tornare al luogo in cui hanno avuto origine. Questo è lo scopo della vita. Ecco un altro esempio: un vasaio va a uno stagno, prende dell’argilla, la porta via e la scarica a terra davanti a casa. Lo scavo dell’argilla forma una buca vicino allo stagno e il deposito della stessa in un altro posto forma un monticello; l’argilla della buca è la stessa di quella della montagnola. È stata scavata una buca per formare la montagnola e questa diventa sempre più piccola a mano a mano che il vasaio usa l’argilla per fare vasi e piatti, che però non possono contenere l’acqua finché non sono cotti. Se ce la mettete, quei vasi si rompono, per cui il vasaio li mette nel fuoco e li sottopone a un processo di raffinamento, dopodiché possono contenere l’acqua. I vasi non cotti non possono contenerla, quelli cotti sì e noi li usiamo per vari scopi. Un giorno, mentre state prendendo dell’acqua da un pozzo, il vaso vi scivola di mano e cade rompendosi in più pezzi. Quei pezzi, li portate con voi? No, li lasciate dove sono e lì finiscono sbriciolati sotto le ruote del carro o sotto i piedi delle persone, tornando a essere argilla. Il vaso venuto dall’argilla torna a essere argilla anche se, nel frattempo, assume la forma del vaso e dei piatti; queste forme sono temporanee. Voi non avete quindi nessun bisogno di chiedere a qualcuno dove stia andando: egli deve naturalmente tornare alla sorgente delle sue origini. Il santo Purandaradasa cantava: “O Signore, io sono nato in questo mondo perché Ti ho dimenticato. Se non lo avessi fatto, non sarei nato qui”, e disse: “O Signore! Come potrei diventare orfano o diseredato finché Tu sarai al mio fianco? Tu sei Colui che mi dà la saggezza e la conoscenza. In effetti, Tu mi redimi, sei il mio Supremo Salvatore, sei il Dispensatore degli otto tipi di ricchezza. Anche se il cielo mi cadesse sulla testa, non avrei paura: io ho il Tuo aiuto in ogni situazione. Perché dovrei avere paura se Tu sei in me, con me, sopra di me e sotto di me? Io non ho bisogno di andare altrove a cercarTi: Tu sei sempre con me. Signore, Tu sei l’unico che agisce; io sono un burattino nelle Tue mani.” Chi ha una fede così salda è libero da tutte le paure, non manca di niente, la sofferenza e la povertà non lo toccano; come potete mancare di qualcosa se il Padrone della ricchezza è con voi? Dovreste compiere il vostro dovere con una convinzione così salda. Dio solamente vi dà tutto. Non date mai spazio all’ego e all’attaccamento. Com’è sciocco rimproverare il Sole perché non inonda di luce la vostra casa! Com’è che non ricevete la sua luce in casa vostra se il Sole illumina tutto il mondo? Il Dio Sole ride della vostra ignoranza e dice: “O stolto! Hai innalzato tutt’intorno i muri dell’ego e dell’attaccamento: come posso entrare in casa tua? Abbattili e Io entrerò di Mia iniziativa; non hai bisogno di chiamarMi, invitarMi o pregarMi: è Mio dovere, quindi verrò certamente.” Allo stesso modo, Dio è presente nel vostro cuore, ma voi non siete capaci di visualizzarLo. Qual è la ragione? Avete costruito i muri dell’ego e dell’attaccamento al corpo e questi nascondono Dio alla vostra vista; come potete, quindi, avere la visione di Dio? Egli è proprio lì, in voi, eppure non potete vederLo. Il Santo Ramadas abbracciò i piedi del Signore Râma dicendo: “O Signore! Non Ti lascerò andare lontano da me neanche un passo se non mi concederai la Tua grazia. Come puoi lasciarmi e andar via?” Allora il Signore rispose: “La questione del Mio andar via si pone se Io sono fuori di te, ma Io sono sempre in te; in effetti Io sono te e tu sei Me. Pensare che Io ti lasci è un’illusione totale.” Dio non abbandona nessuno e non va in alcun luogo; è sempre lì in voi. In realtà, Egli è presente dovunque.
Cercate di affidarvi alla Grazia Divina
Di questo ho parlato anche in un Discorso recente. Una volta una gopî, essendo sola in casa, volle chiudere la porta. In quell’istante preciso, il Signore Krishna bussò dall’esterno. Ella non sapeva se aprire o meno. Râdhâ fu divertita dalla vista di ciò, e cantò:
“Tutto l’universo è la residenza del Signore: dov’è allora la porta d’ingresso di quella casa? Tirate i fili vitali del vostro corpo,
offritevi ai Suoi piedi e piangete di gioia.
O jîva, vedi il paradiso in quell’esperienza! Quello è l’ingresso principale della residenza di Dio.”
Tra il chiudere la porta del cuore e aprirla avendo udito la chiamata del Signore c’è un elemento di dubbio: l’individuo la vuol chiudere e il Signore la vuole aperta. Dio è immutabile, il jîva è incostante e soggetto al cambiamento. Un passerotto che si posa sul ramoscello di un albero non teme il suo oscillare perché si affida alla forza delle proprie ali e non al ramoscello stesso. Un passero ha fiducia nella forza delle proprie ali, mentre l’essere umano manca di fiducia in sé; anche la più piccola difficoltà lo fa temere e lo rende insicuro. Un essere umano non dovrebbe essere così incerto. Dovrebbe diventare coraggioso e valoroso meditando sul Nome di Dio. Oggi, voi non avete bisogno di forza fisica e intelligenza; vi serve la Grazia Divina e la forza della Rettitudine, ve l’ho detto altre volte.
“Si possono avere possanza fisica e grande capacità intellettiva, ma si cadrà nell’afflizione senza la Grazia Divina.
Karna era un grande guerriero. Ma quale fu il suo fato? Non dimenticate mai questa verità.”
In verità, Karna era un guerriero più grande di Arjuna. Era nato per grazia del Dio Sole, ma, disgraziatamente, faceva più affidamento sulla forza fisica e sull’intelligenza. Invece di prendere rifugio nel Signore Krishna, egli si schierò con Duryodhana e Duhshâsana. Perché? Il suo ego ne fu la causa fondamentale. Una volta, gli fu impedito di partecipare a una gara di tiro con l’arco perché non era un principe né uno kshatriya e tutti lo derisero dicendo che il figlio di un auriga non meritava di competere con gli kshatriya. Sentendosi profondamente umiliato, stava abbandonando l’arena quando Duryodhana lo richiamò e lo fece re di Anga (nome di un regno situato sulla riva destra del Gange – N.d.T.). Pur sapendo che Duryodhana era una persona malvagia, Karna diventò suo intimo amico per gratitudine e attaccamento. In qualunque situazione, dovete guardarvi da un attaccamento così mal riposto; una persona malvagia è sempre una persona malvagia. Karna avrebbe dovuto rifiutare l’offerta di Duryodhana invece di accettarla e divenirne amico. Perché ebbe bisogno dell’aiuto di Duryodhana? Doveva cercare rifugio in Dio che aiuta tutti, ma egli mancava di una fede e uno spirito di sacrificio simili. Si umiliò accettando l’offerta di una persona malvagia come Duryodhana e divenne uno dei quatto malvagi (Duryodhana, Duhshâsana, Shakuni e Karna). Eppure era figlio di Kuntî e fratello di Y udhishthira.
Draupadî era l’incarnazione di grandi virtù
Quando Draupadî venne umiliata alla corte dei Kaurava, anche Karna approvò le affermazioni sprezzanti su di lei. Draupadî era l’incarnazione della rettitudine ed era pativratâ (donna casta e virtuosa). Si può chiedere come la moglie di cinque mariti possa essere casta, ma i cinque Pândava non erano individui separati come il mondo li considera; essi rappresentavano i cinque elementi. Una volta, ci fu un dibattito alla presenza di Krishna su quale fosse la più grande tra le pativratâ ed Egli dichiarò in termini inequivocabili:
“Draupadî obbedì scrupolosamente ai comandi dei suoi mariti. Non diceva mai a nessuno di loro di non aver tempo per servirlo. Ella fu appagata da ogni cosa che ottenne nella vita.
Era l’esempio supremo della castita e nessuno può uguagliarla sotto questo aspetto.”
Ella era l’incarnazione di molte virtù e la sua tolleranza era impareggiabile. Quello che vide quando Ashvatthâman massacrò i piccoli Pândava nel sonno le spezzò il cuore. Arjuna rintracciò l’autore di quell’atrocità e lo trascinò davanti a lei. La virtù suprema della tolleranza che Draupadî mostrò in quella situazione fu notevole. Invece di maledire Ashvatthâman, ella cadde ai suoi piedi e disse: “I miei mariti hanno imparato tutto ciò che sanno ai piedi di tuo padre Dronâchârya. Poiché sei suo figlio, era corretto per te uccidere i miei figli? Come hai potuto avere il cuore di ucciderli così innocenti, giovani, tranquillamente addormentati, privi di acredine nei tuoi confronti e lontani da qualunque idea di arrecarti danno?” Bhîma non poté sopportare la vista di Draupadi che si rivolgeva così ad Ashvatthâman, e, esplodendo per la collera, ruggì: “A causa della perdita dei suoi figli, questa Draupadî ha perso il cervello. Come potrebbe altrimenti cadere ai piedi di questo individuo malvagio?”
“Questa Draupadî è una donna stupida perché prega per la libertà di questo miserabile. Ella non prova risentimento contro questo assassino dei suoi figli.
Questo assassino Ashvatthâman non è un bramino. Non rilasciatelo; uccidetelo.
Se non lo fate voi, io stesso lo colpirò sulla testa con il mio pugno possente affinché vediate!”
Allora Draupadî tranquillizzò Bhîma e disse ad Arjuna: “O Pârtha! Non è giusto uccidere una persona che ha paura o ha perso il coraggio, che dorme o è ubriaca, che cerca rifugio o è una donna. Tu non devi uccidere Ashvatthâman perché è figlio del tuo precettore.” Ma Arjuna rispose: “Ho fatto voto di uccidere questo malvagio; non posso perdonarlo e mancare al mio voto.” A questo punto, Draupadî meditò su Krishna e suggerì ad Arjuna di rasare la testa di Ashvatthâman come punizione e lasciarlo libero. Arjuna seguì il suo consiglio e agì di conseguenza. In tale situazione, Draupadî reagì così. Non provò alcun odio per colui che aveva eliminato senza pietà tutti i discendenti dei Pândava. Ella disse:
“Uccidere una persona come Ashvatthâman è contrario al Dharma di uno kshatriya. Io mi dolgo della perdita dei miei figli, quindi non voglio dare un dolore simile a sua madre. I miei figli non possono tornare in vita qualunque cosa facciamo: perché dovrei far soffrire un’altra madre?” Con queste parole di saggezza, ella impedì ad Arjuna di uccidere Ashvatthâman. La sua tolleranza protesse i Pândava fino alla fine e li aiutò a meritare grande nome e fama. L’onore di una famiglia dipende dalle virtù della donna di casa; quindi ogni donna dovrebbe sviluppare la tolleranza. Non solamente le donne: anche gli uomini devono coltivarla, ma per le donne è estremamente importante. Chi sa tollerare può ottenere qualunque cosa. In effetti, la tolleranza è una dote divina, è il dono di Dio.
“Ognuno, chiunque sia, deve affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Nessuno sa che cosa gli riservi il futuro, ma questo è certo:
tutti devono raccogliere le conseguenze delle proprie azioni.
Anche il possente Rama soffrì per la separazione dalla consorte Sitâ
e pianse come una persona comune.
Anche i Pandava dovettero andare in esilio e vivere nella foresta.”
Dire che cosa ci sia in serbo per una persona, dove, quando e in quali circostanze si verifichi, è impossibile; ciò che deve accadere accadrà. Tutto accade secondo la Volontà di Dio. Pensate che ciò che di bene accade è bene per voi e ciò che accade di male è ugualmente bene per voi. La capacità di accettare il bene e il male con equanimità è una suprema virtù che vi condurrà all’unione con Brahman. Se avete nel cuore tali sacri, dolcissimi e ampi sentimenti, sarete sempre vittoriosi ovunque e in tutti gli impegni, e avrete molto successo nella vita.
Bhagavan conclude il Discorso con il bhajan: “Govinda Krishna Jai Gopâla Krishna Jai ……”
Prashânti Nilayam, 29 agosto 1996, Sai Kulwant Hall
(Da “SANÂTANA SÂRATHI”, giugno 2014)