19630204 - 04 febbraio

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

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[1] Oggi avete ricevuto dai due pandit il nettare del Rāmāyana; essi vi hanno parlato con grande gioia nel descrivervi gli avvenimenti di questo poema epico. Uno di loro ha scelto l’episodio relativo all’ospitalità che il Saggio Bharadvāja offrì a Bhārata ed al suo seguito, e la reazione di quest’ultimo. L’altro pandit ha svolto come tema la descrizione delle qualità di Rāma che Nārada fece a Vālmīki. Il nome di Rāma è così dolce che tutti i presenti hanno gradito molto i due discorsi. Se un uomo parla di Rāma senza essere ispirato dalla gloria del Signore, le sue parole appariranno vuote e non saranno di alcun beneficio. Sarà come l’immagine di un tavolo sontuosamente imbandito con vivande deliziose, visto in uno specchio; tutte quelle prelibatezze non sazieranno di certo lo stomaco. Nessun linguaggio può descrivere la beatitudine vera che il Nome divino conferisce; le parole, al massimo, possono illustrarne solo un briciolo. L’uomo viene al mondo gravato del bagaglio di Māyā e del suo strumento: la mente. Quest’ultima si esprime nel mondo esteriore attraverso l’attrazione e la repulsione, l’affetto e l’odio. L’attrazione è di natura ragiasica [passionale] ma può essere utilizzata per la propria elevazione, proprio come fece Nārada che la usò per fissare la sua attenzione sul Signore. La repulsione invece è di natura tamasica [ottusa, ignorante]; ad esempio Durvāsa4 la espresse nel suo comportamento con Ambarīsha5 ed altri. Senza attaccamento ed odio, la mente non può affatto funzionare; se entrambi verranno eliminati, non potrà esserci né mente né illusione, e voi vi focalizzerete sulla Conoscenza o Saggezza. Fate in modo che attrazione e repulsione se ne vadano per lasciare entrare il Signore; allora non ci sarà più la mente né l’illusione.

[2] La Taittirīya Upanishad analizza molto bene la mente ed il suo comportamento, insegna a fondere la mente in Dio e fornisce i mezzi con cui sventare le manovre dell’attaccamento e della repulsione; piuttosto utilizzate entrambi per raggiungere fini positivi, come fecero Nārada e Durvāsa. Sviluppate attaccamento verso Dio ed avversione per il male, l’orgoglio e l’egoismo. L’acqua ed il fuoco sono incompatibili, poiché l’acqua spegne il fuoco ma, con l’ausilio di quest’ultimo, potrete convertire l’acqua in vapore ed utilizzarlo per trainare una lunga fila di pesanti vagoni. In che modo potete superare l’attaccamento e l’odio? Mediante il discernimento, l’indagine ed il ragionamento. Arrivate alla verità avvalendovi di questi mezzi. Sebbene Duryodhana6 fosse attaccato alla falsità, all’avidità ed all’invidia, secondo il Mahābhārata egli ebbe una vita particolarmente felice, con bandiere che sventolavano alte, festoni scintillanti e banchetti tutti i giorni; mentre Yudhisthira, il maggiore dei Pāndava, ottenne come ricompensa per il suo profondo senso di moralità solo esilio, povertà e privazioni. Questo non significa che il saggio Vyāsa, l’autore di questa epica, fosse un folle o un imbroglione. Il Dharma rimase solido nonostante le prove e la fede ne uscì fortificata e più stabile. Nel caso di Duryodhana, la prosperità non indusse in lui la prudenza, l’umiltà o il discernimento. Oggi, a distanza di secoli dalla loro morte, onorate Yudhisthira ed aborrite Duryodhana. Anche Vālmīki descrisse Rāma come un uomo desolato che vagava per la foresta ma che neppure per un attimo si era scostato dal sentiero del Dharma. Per quella ragione, ancor oggi Rāma è venerato come l’Incarnazione del Dharma.

[3] La relazione Maestro-discepolo, che si è instaurata fra questi ragazzi e coloro che li hanno iniziati al Gāyatrī mantra, ha anch’essa una qualità spirituale che induce il discepolo ad apprendere con gratitudine ed il Maestro ad insegnare con amore. Ci furono anche casi in cui al discepolo venne fatto dimenticare tutto quello che aveva appreso perché il guru era scontento del suo comportamento. L’India è stata la Terra della comunione divina, del sacrificio e dell’intuizione spirituale. Essa ha diffuso lo stato di pura equanimità, quella saggezza che vede tutti come uguali depositari della Divinità. L’equanimità è solo una questione di origine ed essenza; l’acqua dei laghi, dei fossi, dei pozzi e dei fiumi è acqua piovana, anche se il sapore, il colore, il nome e la forma sono diversi a seconda di dove cade la pioggia e di quanto puro è il contenitore. La Grazia divina è come la pioggia, pura e limpida, e discende su tutti; in che modo venga accolta ed utilizzata, dipende però dal cuore dell’uomo. Il Signore non mette alla prova un uomo per divertimento, né gli procura calamità su calamità solo perché ne trae piacere. Gli esami si tengono per misurare il livello di conseguimento raggiunto e per conferire voti e lodi. Dovete chiedere di essere esaminati in modo che il vostro progresso possa essere registrato.

[4] Dikshit ha detto che il saggio Bharadvāja preparò una regale sala delle udienze, con un trono tempestato di gemme preziose ed altri accessori, per ricevere Bhārata, ma su quel trono Bhārata insediò mentalmente Rāma, e rimase dietro per far vento a suo fratello. Il saggio elogiò Bhārata per quell’atto di vero distacco e fu lieto che, attraverso quel gesto, i cittadini potessero conoscere la sua vera natura. Bhārata non partecipò al sontuoso banchetto allestito dal Saggio; era troppo amareggiato dalla svolta presa dagli eventi per pensare al cibo, a bere o a dormire. Non bevve neanche una goccia d’acqua prima di poter parlare con Rāma. Il pensiero di Rāma era così intenso in lui che la gente vide Rāma stesso nella forma di Bhārata. L’incessante contemplazione lo aveva reso una Sua copia esatta. Tale deve essere la profondità della devozione perché sia proficua. Invece voi mi lodate quando tutto va bene e mi chiamate ‘cuore di pietra’ quando la sofferenza vi assale. Gioia o dolore, qualunque cosa il Signore vi offra, dovete accettarla con calma equanime.

[5] Si dice che Rāma nacque dalla crema di riso cotto nel latte portata da una Divinità emersa dal fuoco sacrificale. Nessun Avatār è mai nato come carne ed ossa, incluso il presente Avatār. La sostanza del corpo dell’Avatār è consapevolezza, non è fatto di materia inerte come gli altri. L’embrione dei comuni mortali è avvolto da una sostanza acquosa, mentre l’embrione dell’Avatār è racchiuso nel puro, bianco latte di santità. Ecco perché nella natura dell’Avatār non ci sono macchie, non c’è traccia dei guna. Dasharatha era affranto perché non gli era rimasto alcun figlio per compiere l’offerta rituale al momento del suo trapasso nell’altro mondo. Se tutti sono della forma e della sostanza di Dio, chi è il padre e chi è il figlio, chi fa l’offerta a chi, quando si è raggiunto questo alto livello di saggezza? La forza d’animo è il padre, la pace è la madre, la rinuncia è la moglie ed il Signore è il figlio, il centro di ogni affetto. Dasharatha desiderava invece il figlio di tipo inferiore, il figlio maschio che lo avrebbe salvato dalla perdizione. Questo desiderio condusse il suo spirito nuovamente davanti a Rāma quando Sītā stava per entrare nel fuoco a Lankā.

Il demone Rāvana era stato ucciso, e Rāma invitò Sugrīva e Lakshmana ad incoronare Vibhīshana imperatore di Lankā. Vibhīshana supplicò che fosse Rāma stesso a benedirlo in quell’occasione così propizia, ma Rāma gli disse che il Suo voto di eremita non gli consentiva di entrare in una città abitata. Allora Rāma mandò Hanuman da Sītā e lo esortò a portare Sītā al campo su un palanchino. Vibhīshana non ci aveva pensato perché era troppo immerso in altre questioni. Hanuman s’inchinò davanti a Sītā ed ottenne la visione di Lakshmī che emerge dalle onde dell’oceano di latte. Egli pensò che con quella visione era stato sufficientemente ricompensato per tutte le nascite che aveva dovuto subire. Mentre il palanchino si avvicinava al campo, da esso si diffuse ovunque un sublime splendore che sbalordì l’esercito delle scimmie. Rāma fece avvisare Sītā che poteva scendere e camminare per la rimanente distanza, in modo che le scimmie potessero colmare i loro occhi della sua gloria. Questo non è menzionato nei testi. Quando Sītā si trovò a circa dieci metri, Rāma che è di burro quando si scioglie ma d’acciaio quando si indurisce, disse: “Fermati! Potrò accettarti solo dopo che tu sia passata attraverso il fuoco.” Lakshmana svenne a quell’annuncio che giunse come un fulmine a ciel sereno; le scimmie che dovevano portare la legna per il fuoco, faticavano a reggere il peso di semplici ramoscelli. La prova del fuoco serviva a due scopi: disseccare le lingue maldicenti e calunniatrici che in tutti i tempi hanno infestato il cammino degli Avatār, e recuperare dal fuoco la vera Sītā (l’Essenza vitale o Shakti) che era rimasta sempre nel fuoco poiché vi era entrata prima che Rāvana attuasse il rapimento.

[6] In quella circostanza anche Dasharatha si presentò sul posto per assicurare Rāma che Sītā era la purezza stessa ed anche per soddisfare il proprio desiderio di rivedere il figlio; apprezzò la fermezza di Rāma nel rispettare il desiderio paterno, inoltre vide le scimmie risollevarsi dal campo di battaglia e stringersi intorno a Rāma. Gli esseri demoniaci avevano già conseguito la liberazione in quanto, prima di esalare l’ultimo respiro, avevano avuto la visione di Dio. Rāma affermò: “Queste scimmie sono scese per essere Miei strumenti, perciò non hanno morte né nascita se non per Mio volere.” Anche l’uomo deve diventare un Suo strumento allo scopo di sfuggire al ciclo delle nascite e delle morti. È venuto imprigionato nell’ego ed ora deve liberarsi. Questo obiettivo può essere raggiunto solo rendendolo consapevole della Realtà fondamentale dell’universo. Come un individuo stretto nella povertà, che dimora in una capanna eretta sopra un immenso tesoro sotterraneo, così l’uomo soffre pur avendo dentro di sé una sorgente di gioia di cui è inconsapevole. Io sono venuto per darvi la chiave di quel tesoro, per indicarvi come attingere a quella sorgente, poiché avete dimenticato la via della beatitudine. Se perdete l’opportunità di salvarvi, sarà il vostro infausto destino. La maggior parte di voi è venuta da Me per ottenere orpelli e ciarpame, piccole e meschine guarigioni e promozioni, piaceri e comodità; pochi fra voi desiderano da Me ciò che sono venuto a dare: la liberazione stessa, ed anche fra questi pochi, quelli che seguono il cammino della disciplina spirituale e conseguono la vittoria sono solo una manciata.

[7] Molti si lasciano attrarre da simboli esteriori di santità, come la tunica, la barba, i rosari ed i capelli arruffati, e seguono le orme di questi uomini che numerosi peregrinano nel Paese. È molto difficile individuare chiaramente la manifestazione del Signore, perciò Io stesso mi annuncio ed illustro la Mia missione, il compito, le caratteristiche e le qualità che distinguono un Avatār dal resto. Non agognate a benessere e ricchezze, anelate piuttosto alla beatitudine. Se avete fede e se avete il nome di Rāma come compagno costante, sarete sempre in paradiso; non è una regione distante che si raggiunge con viaggi tortuosi, ma è una sorgente di tranquillità che si trova nel vostro stesso cuore. In nessun altro luogo potrete trovarvi proprio accanto alla più grande di tutte le fonti di gioia; qui è così vicina, facilmente raggiungibile, così piena di grazia. Se indietreggiate, raramente vi si presenterà di nuovo l’opportunità. Chiedete ed ottenete ciò che vi salva, non ciò che vi lega.

Voi mi chiedete migliaia di cose materiali, ma raramente chiedete Me. Ecco perché è molto raro che mi rivolga a voi chiamandovi devoti. Generalmente vi chiamo ‘Incarnazioni del Divino Sé’, poiché questa Divinità è la vostra vera forma. Anche se non ne siete consapevoli, è un dato di fatto; perciò mi rivolgo a voi in questi termini con sicurezza. Potrei anche chiamarvi ‘Incarnazioni Divine’, ma per quel che riguarda la devozione, essendo una qualità che porta a desiderare solo il Signore e null’altro, credo che non potete avanzare questa pretesa.

[8] Alcuni di voi si proclamano devoti di Sai, di Rāma o di Krishna, ma finché non sarete strumenti perfetti nelle Sue mani, non meriterete tale appellativo. Ad esempio, Bhārata può definirsi un devoto di Rāma poiché ad ogni respiro visse con il Nome di Rāma. Egli era con Rāma nella foresta e sul campo di battaglia; soffrì quanto Rāma ed era un anacoreta come suo fratello, così anch’egli divenne scuro di pelle proprio come Rāma. L’ascolto, la riflessione su ciò che si è ascoltato, la messa in pratica di quanto viene stabilito dalla mente così purificata, ebbene questi sono i metodi con cui le tendenze demoniache devono essere imbrigliate. Quali sono queste tendenze? La lussuria, la cupidigia, il desiderio smodato per le cose del mondo dei sensi, l’egoismo e tutto il resto dell’infausta nidiata. Quando il recipiente del latte sul focolare trabocca, vi versate sopra dell’acqua fredda ed il latte va subito giù, non è così? L’irascibile saggio Durvāsa corrisponde all’esempio del recipiente del latte che tracima, mentre Nārada corrisponde a quello che non trabocca. La ragione è che Nārada aveva sempre il Nome del Signore che gli danzava sulla lingua e quindi i suoi sensi non ebbero mai il sopravvento. Se anche voi tenete i sensi ed i desideri sotto controllo, trarrete profitto dall’ascolto di questi discorsi e dalla vostra visita qui, ed Io sarò felice che abbiate imboccato il sentiero che vi donerà vera forza e gioia.

Prashānti Nilayam, 04.02.1963

1)

1) da DISCORSI 1963 (Sathya Sai Speaks-Vol.III) ed.Mother Sai Publications